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Sport e Cultura 12 2012 |
“Io, Ibra” Da mesi nella classifica dei più venduti in Italia, il libro di Zlatan Ibrahimovic spopola su ogni scaffale e diventa un best seller da esportazione di
“Puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma mai il ghetto dal ragazzo”: così recita lo striscione appeso sul tunnel che Zlatan, da piccolo, percorreva con il cuore in gola per tornare a casa. Ed è vero. Perché è da Rosengard, quartiere dormitorio all’estrema periferia di Malmö, che Zlatan è partito per costruire la sua leggenda, da un paio di scarpette comprate per cinquantanove corone in un supermercato. Ovunque sia andato si è portato dentro il desiderio di una rivincita su chi lo guardava male perché non si metteva in fila con gli altri, sui genitori dei compagni che facevano raccolte di firme per cacciarlo dalle squadre, sugli allenatori sempre pronti a criticarlo. Quella voglia di essere più forte di tutti lo ha portato dal Malmö all’Ajax, per raccogliere l’eredità di un gigante come Van Basten; quindi alla Juventus, dove Capello lo riplasma tirandogli “fuori l’Ajax dal corpo a legnate”; poi all’Inter, dove Ibra convince Moratti che il primo problema è la divisione in clan nello spogliatoio e porta tre scudetti consecutivi. A Barcellona resta un anno, giusto il tempo di urlare in faccia a Guardiola un “tu non hai le palle!” dopo l’ennesima esclusione, prima di rientrare in Italia, al Milan, con un nuovo colpo di teatro. La storia di Zlatan continua, e, come dice lui stesso, “è tutta una fiaba, un viaggio dal ghetto verso un sogno”. |
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